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IL BLOG

Una stagione che non finisce mai

In occasione della 40^ edizione della rassegna di Teatro ragazzi al Teatro Bonci di Cesena, Emilia Romagna Teatro Fondazione ha voluto realizzare un blog sugli spettacoli in programma 2019. Una pagina di diario, informale, viva, che racconterà, da gennaio a maggio, 10 spettacoli di artisti che hanno lasciato un segno anche nelle stagioni passate o che rappresentano il futuro del teatro per i ragazzi. Ogni articolo contiene foto, interviste agli artisti, al pubblico di studenti e di insegnanti, riportando le sensazioni, gli aneddoti, i momenti più intensi degli spettacoli per diffondere e condividere al di fuori, nella città e per la città, l’esperienza di una mattina al Teatro Bonci. I nostri blogger sono ragazzi dai 20 ai 25 anni che fanno parte del gruppo cesenate della giuria del Bando Radar promosso da Emilia Romagna Teatro Fondazione, da poco passati dall’altra parte, non più studenti-spettatori ma ancora vicini a loro per età. Il blog ci accompagnerà fino all’ultimo spettacolo… perché il racconto della stagione di teatro ragazzi non finisca mai!

Spettacoli

Fraternità Solare

ALLA RICERCA DELLA POESIA PERDUTA
Un coinvolgente “viaggio” alla scoperta della poesia contemporanea
di Mattia Pasini

Può, ancora oggi, la poesia avere lo stesso valore “nutritivo” ed evocativo che per così tanti e per così tanto tempo ha avuto nei secoli passati?

È una domanda interessante, pungente se vogliamo, alla quale forse non è possibile rispondere in maniera completa. Se da un lato sarebbe riduttivo e fin troppo semplicistico considerare l’arte poetica ancora attuale, dall’altro è inevitabile sottolineare che nella maggior parte dei casi la poesia si limiti a vivere all’interno delle mura scolastiche, trovando estrema difficoltà nel superarle e nell’uscire al di fuori.

È proprio in questo contesto che si inserisce lo spettacolo “Fraternità Solare”, scritto, diretto e recitato dalla poetessa e scrittrice cesenate Mariangela Gualtieri: un tentativo di dialogo rivolto ai giovani con il principale obbiettivo di trasmettere loro il significato della poesia (in particolar modo quella contemporanea) e i valori da essa trasmessi.

Il 22 gennaio alle ore 10, al Teatro Alessandro Bonci di Cesena, in un clima molto intimo, caratterizzato da una semplice luce soffusa emanata da una vecchia lampadina, la voce profonda di Mariangela ha catturato l’attenzione di tutto il pubblico, composto da studenti e professori dei Liceo, i quali, hanno seguito l’intero spettacolo in un silenzio quasi religioso.

Una serie di poesie da lei composte, seguite da quelle di vari autori contemporanei, quali Milo De Angelis, Mario Luzi, Antonella Anedda, Chandra Livia Candiani, Vivian Lamarque e altri (alla quale la stessa autrice si sente profondamente legata) sono state accolte con grande entusiasmo da un pubblico tanto giovane quanto affascinato.

La scenografia minimalista è probabilmente l’elemento chiave dello spettacolo, grazie alla quale le “parole” vengono elevate a protagoniste: un abito bianco avvolge Mariangela, arricchito da uno spago legato alla vita, al quale è appeso un taccuino colmo di poesie, filo conduttore di tutto lo spettacolo.

I versi recitati vengono scanditi da ricorrenti momenti di silenzio, considerati anch’essi, dalla stessa scrittrice, non tanto come pause bensì come parti integranti della poesia. Questi infatti rappresentano un momento utile, se non necessario, perché lo spettatore assorba appieno il messaggio.

Attraverso la profondità e la pacatezza della sua voce, il messaggio di Mariangela è arrivato forte e chiaro. È possibile “ritrovare” i propri poeti, riallacciando un rapporto con quei rappresentanti di un mondo, di idee, sogni e paure che per ovvi motivi, sono necessariamente diverse da quelle di Dante, Foscolo o Leopardi, ma non per questo meno importanti.

Poeti, quelli contemporanei, che possono risultare difficili da comprendere essendo lontani dalla nostra dimensione quotidiana, almeno fin quando non siamo in grado di entrare nella loro melodia che gradualmente diventa un po’ anche la nostra. In un mondo come quello di oggi la poesia è in grado di “togliere peso”, di scaraventarci in un punto di noi che abitiamo da sempre ma che attualmente non è molto frequentato: la nostra interiorità; un luogo dal quale sempre più spesso veniamo allontanati da una mal utilizzata tecnologia.

Una volta terminata la rappresentazione, Mariangela, scendendo dal pacchetto, si è “svestita” dei panni di attrice, instaurando un dialogo non più unidirezionale con il proprio pubblico, ma diretto. Gli interventi dell’audience non si sono fatti attendere e, dei numerosi botta e risposta avvenuti, uno mi ha colpito particolarmente: un ragazzo ha chiesto in che modo si possa classificare una persona che scrive come “poeta” e in quale momento della sua vita Mariangela si fosse resa conto di essere una poetessa. Dopo essersi presa qualche istante per pensare Mariangela ha preso il microfono: “è difficile descrivere il momento esatto nel quale mi sono sentita per la prima volta una poetessa, ma, con il passare degli anni, la paura di mostrare i miei lavori agli altri è scomparsa, in quanto ho iniziato a pensare che essi avessero una propria credibilità e autenticità. Per quanto riguarda il metro di giudizio per classificare una persona come poeta, l’unico mezzo in grado di fare ciò è il tempo, un vero e proprio spazzino in grado di mantenere vivo ciò che ha un valore e spazzare via tutto ciò che non ne ha”.

“Fraternità Solare” è allora un’occasione per conoscere il mondo di Mariangela, comprendere il radicale cambiamento del suo rapporto con la poesia avvenuto nel corso del tempo e cogliere, fino in fondo, l’urgenza di scrivere di una splendida donna che si è avvicinata tardi al mondo della scrittura, ma che, nonostante ciò, ha fatto di essa la sua ragione di vita.

Esercizi per voce e violoncello sulla Divina Commedia di Dante

DANTE DIVENTA MUSICA
l’alchimia nascosta tra note ed endecasillabo con Chiara Guidi
di Monica Bazzocchi

L’approccio alla Divina Commedia è sicuramente un’esperienza forte.
Mi ricordo il mio libro di scuola dell’Inferno di Dante. Ogni parola aveva come minimo un trafiletto di appunti, era tutto talmente tanto scritto che il testo stampato non si scorgeva quasi più.
Studiando i simbolismi, la metrica, le terzine e gli endecasillabi cercavo di imprimermi nella mente ogni significato intrinseco che il professore ci proponeva come analisi del testo. Questo sicuramente per andare bene all’interrogazione. Ma forse la materia mi appassionava perché sono sempre stata attratta dal non detto, dal sottointeso.
Ma cosa può davvero svelarci il segreto che portano quei versi?
Come possiamo esercitarci ad un sentire veramente, ad un sondare quelle parti del testo che ci rimangono nascoste?
Ed è proprio davanti a questo esercizio di ascolto e sentire che mi sono trovata alle 11 di questa mattina del 2 febbraio al Teatro Comandini di Cesena, insieme ad alcune classi del liceo che stanno concludendo proprio ora lo studio dell’Inferno di Dante, aspettando uno tra gli spettacoli proposti dall’iniziativa Teatro Ragazzi.
Chiara Guidi alla voce, Francesco Guerri agli strumenti ed Andrea Scardovi alla produzione del suono, ci propongono una nuova esperienza portando in scena ESERCIZI PER VOCE E VIOLONCELLO SULLA DIVINA COMMEDIA. Nuova non solo per noi che ci stiamo sedendo nella platea del teatro ma nuova anche per gli attori stessi.
D’altronde la compagnia Raffaello Sanzio si occupa proprio del teatro come esperimento portando in scena sempre qualcosa di curioso. Di innovativo.
Entrando in platea insieme a Federica che porta sempre con sé il suo entusiasmo ed il suo quadernino di appunti e a Matteo che si sta preparando a girare delle scene per un documentario, la prima cosa che salta alla vista (e all’olfatto) è la sala coperta di fumo, fin sopra le seggiole. Sul palconscenico, a sinistra, sotto il primo riflettore, sono appoggiati degli spartiti, un violoncello ed uno strano strumento che non riesco a riconoscere, sulla destra invece, sotto l’altro riflettore, c’è un banchetto ricoperto per metà da una pelle di capra e per l’altra metà da un mucchietto di terra. A fianco un bidone vuoto rovesciato con all’interno un microfono. Questa scenografia mi evoca un’idea di sotterraneo.

Per i seguenti 80 minuti Chiara Guidi si esibisce nella lettura del proemio della Divina Commedia per poi trasportarci tra i versi dell’Inferno di Dante sull’onda dei suoni del violoncello, dello strano strumento e del rumore della terra gettata con forza sul bidone. Camminando sugli endecasillabi con la voce e lo strumento si percepisce la ricerca di unico corpo. Le parole, infatti, vengono masticate attraverso la musica, creando un alchimia numerica. Così, il racconto di Ciacco nel cerchio dei golosi, la tremenda invocazione di Pluto nel cerchio degli iracondi e degli accidiosi e la straziante storia del conte Ugolino nel cerchio dei traditori assume una nuova voce.

Finito lo spettacolo ed i meritati applausi Chiara Guidi e Francesco Guerri ci dedicano ancora qualche minuto per poterci aiutare a comprendere meglio quello che avevamo ascoltato fin’ora. Spiegano come hanno studiato la relazione tra voce e strumento nella Divina Commedia e come la regola che impone l’endecasillabo sia in realtà solamente un vettore per creare la possibilità di giocare col suono. Raccontano come sono partiti da uno strumento, il violoncello, senza legarsi alla sonorità che ci si aspetta, riscoprendo suoni nuovi. Gli sfregamenti e le stonature assumono significati forti uniti alla lettura dei versi di Dante. Questi suoni a volte portano delle cesure che anziché essere cacofoniche conferiscono maggiore senso al testo e spesso diventano il diapason per Chiara Guidi per cominciare una terzina. Ci spiegano che quello strumento che avevo fatto fatica a riconoscere non è altro che una chitarra per fare gli spaghetti con la sfoglia che, unita a componenti elettrici (pick up ed altro) ed amplificata, diventa un vero e proprio strumento musicale.

Prima che le classi tornino vociando verso la scuola intervistiamo alcuni ragazzi. Non siamo intenzionate a porgere domande troppo tecniche per cui, Federica chiede ad un gruppetto di studentesse di descrivere lo spettacolo in una parola: BRIVIDO, INASPETTATO, FORTE, CREATIVO.
Io, invece, sono incuriosita dall’esperienza sensoriale che hanno vissuto così chiedo ad un altro gruppetto quali sensi avessero utilizzato per vedere lo spettacolo. Mi rispondono che sicuramente la cosa che hanno utilizzato di più è stato l’udito anche molto stimolati il senso dell’olfatto (per il fumo) e della vista (per l’atmosfera sotterranea).

Dopo averli ringraziati per la loro disponibilità abbiamo il piacere di fare qualche domanda a Chiara Guidi. Federica infatti è molto interessata dal ruolo degli oggetti in scena. Chiara ci racconta che tutto suona. Suona il violoncello, suona la chitarra per fare gli spaghetti, suona la terra gettata sul bidone ma la possibilità di suonare tutto crea un caos. Il loro studio, infatti, si è concentrato sul selezionare i suoni sulla drammaturgia del canto. La musica crea una manifestazione che porta delle suggestioni in chi guarda. Proviamo a fare qualche altra domanda più specifica ma Chiara preferisce non svelare tutto.
“il teatro è magia! Se spiegassi per filo e per segno il mio lavoro perdereste l’incanto”.

Straniero due volte

COL CORPO FERMO e LA MENTE ALTROVE
Lo spettacolo “Straniero due volte”
di Emily Amadori

Vi siete mai sentiti come se voleste spiegare qualcosa, senza riuscire a trovare le parole? Vi siete mai sentiti irrisolti? Incompleti? Con il corpo fermo e la mente altrove?

Giovedì 28 febbraio, alle ore 10.00, il Teatro Verdi di Cesena ha accolto numerosi studenti provenienti da scuole medie e superiori, in particolare classi di seconda e terza superiore.

La produzione Teatro del Buratto, con regia e drammaturgia di Renata Coluccini, ha proposto Straniero due volte, uno spettacolo in cui Gabriele Bajo, Marta Mungo e Andrea Panigatti hanno interpretato tre adolescenti nella propria condizione esistenziale: la sedicenne Ludovica, sorella minore di Alessio, e “il Crudo”, un ragazzo di diciassette anni soprannominato così da una storpiatura dallo stato da cui proviene, il Kurdistan (quindi curdo). Tutti e tre si sentono estranei rispetto a ciò che li circonda.
La scenografia in ferro permette ai personaggi di arrampicarsi e guardare la città. Come se si trovassero sul tetto di un edificio e potessero parlare senza essere ascoltati da nessuno. A fronte palco, una semplice panca in legno. Le luci calde illuminano la scena, evocando un’atmosfera da periferia urbana, dove i personaggi catturano l’attenzione del pubblico con dialoghi scherzosi e provocatori. La musica originale composta da Gianluca Agostini si alterna a canzoni conosciute. Gli adolescenti pensano che il tempo passi troppo in fretta e che la vita sia come camminare ed inciampare, sbattere contro qualcosa, perché sono sempre troppo impegnati a fantasticare e non hanno tempo di guardare a terra.

I giovani prendono le distanze dalla noia, sono tesi ad accarezzare la felicità. Anche se in grado di vedere, l’adolescente non si esprime, perché non vuole sembrare ancora più strano di quanto non appaia.Gli attori sono stati all’altezza del loro compito, ossia liberare e trasmettere i sentimenti tipici degli adolescenti. Hanno saputo immedesimarsi perfettamente in giovani che vogliono essere ascoltati, nelle loro grida e nei loro sussurrii; coloro che tentano di farsi comprendere dai genitori, che disprezzano chi vive passivamente, che sanno amare per davvero, che si sentono sospesi e che non ravvisano la necessità  di parole violente, anche quando queste sembrano essere l’unico modo efficace per farsi sentire, per farsi spazio in un mondo troppo grande e caotico. I protagonisti vorrebbero infrangere un muro immaginario, che li separa dagli adulti; vorrebbero distruggere quel muro fisico che divide Piramo e Tisbe, i personaggi di cui scrisse Ovidio e che ricordano Romeo e Giulietta. I personaggi di Piramo e Tisbe compaiono sul palco come i ruoli che devono essere interpretati nel progetto teatrale scolastico a cui i tre protagonisti della storia prendono parte e grazie al quale riescono a creare tra loro un legame amicizia. Al termine dello spettacolo, uno dei tre attori, Andrea Panigatti, ha parlato proprio di teatro come una maschera: “interpretare Piramo per raccontare di sé”.  Il contatto col pubblico da parte degli attori è stato sincero sia nel dibattito che durante lo spettacolo, tante che quando durante una scena carica di suspence uno degli studenti tra il pubblico ha starnutito, lo stesso attore ha reagito con simpatia.

Se dovessi definire un luogo in cui non ti senti estraneo/a, ma perfettamente a tuo agio, quale sarebbe? Così chiedono gli attori al pubblico. E Giulia, una ragazza di classe seconda (Liceo Linguistico I. Alpi), risponde che quel luogo corrisponde per lei alla scuola.

Un’esplosione di emozioni, uno spettacolo divertente, stimolante e coinvolgente che nasce dall’improvvisazione, dall’incontro dei tre attori con Serène, una ragazza turca, dal desiderio di rivelarsi, dalla volontà di annientare i pregiudizi, presenti sia nell’ambito famigliare dei tre protagonisti, sia dei personaggi di Piramo e Tisbe, il cui amore è ostacolato proprio dai genitori di entrambi.
La partecipazione del pubblico si è manifestata nelle frequenti risate,  nelle grida che hanno seguito il tanto atteso bacio tra Ludovica e “il Crudo”al termine dello spettacolo e dalla volontà manifestata da un ragazzino del pubblico che ha voluto sottolineare quale fosse la corretta pronuncia di una parola in lingua straniera, pronunciata da “il Crudo” nello spettacolo. Infine, molteplici domande hanno alimentato il dibattito fra attori e pubblico, attestando sia il successo dello spettacolo sia l’interesse dei giovani spettatori.

Guida semiseria (ad uso del giovane) all’ascolto della musica da film (e tanto altro)

GUIDA SEMISERIA MA NON TROPPO
di Giulia Mariani

Il 13 Marzo, alle ore 10:00 di mattina, un fiume di giovanissimi bimbi dai 6 agli 11 anni, eccitati e sorridenti, accompagnati dalle loro pazientissime maestre, hanno assistito al concerto partecipato “GUIDA SEMISERIA all’ascolto della musica da film”, messo in scena dal Conservatorio Bruno Maderna, insieme all’Istituto Corelli sul palcoscenico del Teatro Bonci.
Lo spettacolo si è svolto nell’arco di un’ora, trascorsa in un clima allegro e vivace, grazie alla  piccola orchestra e ad alcune voci, il tutto accompagnato dalle risate e dai canti dei bambini.

La messa in scena è stata condotta dall’ironia e dalla simpatia dell’attore Giampiero Bartolini che, con la partecipazione del personaggio di Bruno Maderna (presente grazie ad una video proiezione) ha dato vita ad una vera e propria lezione-concerto in forma teatrale focalizzata sulla musica creata per le immagini. In particolare è stata sottolineata, l’importanza delle colonne sonore, citandone alcune dei film e cartoni animati più amati dai bambini, al fine di dimostrare quanto sia fondamentale il connubio fra la vista, l’udito e la mente per una buona comprensione.

Giampiero Bartolini, tramite un’intervista dopo lo spettacolo, spiega che l’idea della “Guida Semiseria” nasce da un progetto del Conservatorio cesenate, in particolare dal direttore Paolo Chiavacci, insieme all’Istituto Corelli. Questo concerto funge da sequel ad altre due Guide, ovvero per la musica sinfonica e quella per la musica lirica, in modo tale da sottolineare come qualsiasi tipo di musica possa parlare a tutti, nonostante la giovane età del pubblico. Il fine, a mio parer ben riuscito, è quello di comunicare l’importanza della musica, stimolando quelli che potrebbero essere i futuri professionisti in questo campo.

 L’obiettivo è stato raggiunto, perché tramite l’ironia, si è spiegato al giovane pubblico (il quale ha risposto curioso al dialogo intavolato dall’attore) quali sono gli elementi fondamentali delle colonne sonore, tramite un vero e proprio viaggio fra le più conosciute, in modo che il pubblico potesse prendere parte allo spettacolo cantando insieme ai coristi.
Dopo una carrellata di ricordi tra le colonne sonore di “Ratatouille”, “Il libro della giungla”, “Shrek”, passando poi dai “Pirati dei Caraibi” fino a “Indiana Jones” e “Star Wars” e molto altro ancora, i bambini, divertiti e ormai senza voce, si sono diretti a malincuore verso l’uscita ed io con loro, altrettanto contenta e soddisfatta del concerto appena visto.

In fine vorrei evidenziare come le doti comunicative e gli strumenti interattivi utilizzati, siano risultati funzionali e necessari al fine di trasmettere un messaggio importante ad un pubblico composto da bambini, riuscendo però anche ad intrattenerli e divertirli.

Per la ragione degli altri. Un tradimento di Pirandello

IL NUOVO VESTITO DI PIRANDELLO
Noi, il teatro, la famiglia, gli altri
di Monica Bazzocchi e Ilaria Mucci

La sera di domenica 7 aprile alle ore 21:00 e la mattina dell’8 aprile alle ore 10:00 per 200 studenti delle superiori di scuole di Cesena (Agrario, Linguistico, Classico) il Teatro Alessandro Bonci ha ospitato lo spettacolo della compagnia teatrale cesenate Alchemico Tre che ha portato in scena “Per la ragione degli altri, un tradimento di Pirandello” regia di Michele Di Giacomo. Anche se il blog è per il Teatro ragazzi, descriverò la serata del 7 aprile perché a causa del lavoro non mi era possibile assistere al matinée. Ma la cosa mi è possibile anche perché la serata dell’8 era piena di giovani studenti.
Il Teatro Bonci è come sempre una piccola chicca.

Ogni volta che ci entro non posso fare a meno di percepire i muri carichi di storia e di cultura e le tende verdi impregnate di ricordi, di applausi, di stupore, di arte. Quel luogo, molto più di altri, mi trasmette la consapevolezza di trovarmi all’interno di un vero e proprio teatro: la gente che si affretta alla biglietteria, le grandi sale illuminate da lampadari in cristallo, il palco, la platea, i palchetti ed il pubblico.
Il mio posto in platea mi ha consentito di notare quanto il pubblico fosse numeroso ed eterogeneo tra i giovani, che magari al momento hanno Pirandello come argomento di studio, ed i “non più giovani” che non hanno un buon motivo per essere a teatro, se non il piacere stesso di essere lì e di lasciarsi trasportare dal buio.
Alla terza campanella inizia lo spettacolo che porta in scena uno dei primi testi teatrali di Pirandello (1983) riadattato e rimodernizzato da Michele di Giacomo e Riccardo Spagnulo.

Per riprendere il titolo della locandina dello spettacolo “La ragione degli altri” parla di tre personaggi (Marito, Moglie e Amante) incatenati tra loro da un segreto: il Marito ha due famiglie: quella legale, sancita da un matrimonio con una donna milionaria e quella nascosta con l’Amante, dove per l’amore non c’è più spazio. Per mantenere la sua doppia vita, il Marito lavora come cronista in un quotidiano di provincia. La “provincia italiana” quel luogo in cui le persone vivono con la consapevolezza che i loro fatti privati possono viaggiare di bocca in bocca e finire sulla pubblica piazza. E gli Altri infatti vedono e parlano. Quando viene svelato il segreto: la nascita di un figlio dalla relazione adultera, il Marito è costretto ad abbandonare la sua finzione e scegliere da che parte stare, ma solo dopo aver disperatamente cercato una risposta alla domanda che lo ossessiona: che cos’è la Famiglia?  Oggetto della sua inchiesta giornalistica, che era anche l’ultima opportunità di non essere licenziato.
Mi ha colpito immediatamente la scenografia. Dal concetto di metateatro di Pirandello mi aspettavo già un coinvolgimento del pubblico ma la scelta di Alchemico Tre non ha fatto altro che rafforzarlo e valorizzarlo.
Non mi trovo infatti davanti il classico salotto di una casa dove mi posso immaginare che una famiglia viva e passi il suo tempo, oppure ad un ufficio arredato con scrivania, portapenne e computer ma ritrovo un nudo palcoscenico senza oggetti. Solo tre attori supportati da schermi piatti che proiettano sia il ruolo che avrebbero interpretato sia il contesto della scena stessa.
Questo tipo di scenografia consente al pubblico di lavorare con gli attori nella costruzione del luogo ma in particolare nella costruzione dei ruoli dei personaggi.
In questo triangolo relazionale la domanda che faceva da padrona era: Quale delle relazioni è riconducibile ad un concetto “Famiglia”? Ed ecco che il pubblico diventa subito “l’Altro”, la parte giudicante, colui che assegna una maschera, un ruolo al personaggio. E poi sorgono altre domande: Famiglia è legame legale tra Moglie e Marito? Famiglia è legame naturale tra Padre e Madre? Basta questo per creare una Famiglia? Ma soprattutto cos’è “Famiglia”? E nel mentre, negli schermi, compaiono immagini di attualità riguardanti la famiglia, la politica, le unioni civili, il family day… accompagnate da interviste audio registrate a persone come me, come noi… facendo emergere tutte le contraddizioni di ruoli e di convenzioni sociali dei nostri giorni su questa tematica ancora molto attuale.
Finito lo spettacolo, vista l’eterogeneità del pubblico ho deciso di fare qualche domanda sullo spettacolo sia ai giovani che ai non più giovani.
Sorprendentemente, indipendentemente dall’età anagrafica, la maggior parte degli intervistati è rimasta stupita ed ha apprezzato molto la scelta di una scenografia essenziale accompagnata da supporti audio e video che rimandano all’attualità. Diversi hanno inoltre hanno apprezzato il fatto che siano state portate all’interno del teatro (luogo di svago), delle tematiche sociali-relazionali molto attuali e che una volta finita questa “messa in scena”, ci si fermi un attimo a riflettere e pensare a quante volte nella nostra vita ci siamo sentiti “Mariti”, “Mogli”, “Amanti”, ”Figli”, “Altri”, “Famiglia”. Questo, a mio parere, riflette molto una delle principali abilità pirandelliane: portare all’interno del teatro fatto di recitazione, di finzione, di maschere, il “teatro della vita reale”, rendendoli quasi indistinguibili.
Della mattina del giorno dopo mi hanno riferito che i ragazzi hanno accolto benissimo lo spettacolo, lo hanno sentito moderno e attuale, cosa sorprendente trattandosi di Pirandello. Nel dibattito che c’è stato subito dopo lo spettacolo in molto sono intervenuti sulla crudeltà del meccanismo e sono stati portati a riflettere su come il giudizio che diamo sugli altri nelle loro vite private può essere un’azione crudele.
Ritornando alla rappresentazione serale, finito di intervistare il pubblico, mi sono intrufolata nel backstage per conversare con il regista, nonché protagonista, Michele Di Giacomo, per capire qualcosa in più sulle scelte fatte. La mia prima curiosità riguarda il titolo che parla di “un tradimento di Pirandello”: il regista mi ha confidato che è stato necessario “tradirne” il testo, indubbiamente figlio del suo tempo, per mettergli quello che Michele definisce “un cappotto nuovo” su misura ed accessibile per tutti coloro che riempivano la platea e i palchetti.
Ma perché proprio questo testo? Essendo uno dei primi testi, Pirandello non era ancora così abile nel nascondere con la tecnica la crudeltà che è alla base del suo pensiero, quindi perfetto per essere rielaborato. Inoltre Michele Di Giacomo mi ha raccontato che si è avvicinato a questa opera grazie ad un corso di formazione di ERT (Emilia Romagna Teatro) diretto dal regista italiano Massimo Castri, dove ha incontrato quelle che poi sarebbero state le sue valide compagne di scena: Giorgia Coco e Federica Fabiani.
Fondamentale nella scelta è stata la sensazione che Pirandello ci stia ancora parlando. Non subiamo ancora il conflitto tra individuo e società? Non subiamo ancora i perbenismi e le “morali collettive”? Noi siamo cambiati davvero così tanto dall’Italia antica sedimentata sui suoi valori di cui parlava l’autore siciliano?

Non so, giudicate voi…

… Altri.

Il più furbo – disavventure di un incorreggibile lupo

IL PIÙ FURBO
Un Lupo e le sue innumerevoli ombre
di Mattia Bartoletti Stella

Il 10 maggio alle ore 10 di mattina è andato in scena al teatro Verdi di Cesena “Il più furbo – disavventure di un incorreggibile lupo”, nuova produzione della compagnia piacentina Teatro Gioco Vita.

Sono le ore 9.45 e una lunga corda tiene unita una classe di bambini strepitanti che attende di entrare nel foyer del teatro. Questa mattina infatti il pubblico è eccezionalmente composto soltanto da piccoli spettatori, di età compresa dai 3 ai 7 anni. Dall’angolo della via sbuca una comitiva, poi un’altra, poi un’altra ancora; iniziano così a confluire nell’ingresso del teatro una dozzina di serpentoni variopinti che trasformano la zona pedonale in una piccola piazza di paese in un giorno di mercato.
Le insegnanti provano a richiamare l’attenzione per contenere lo schiamazzo, ma niente da fare: questi giovani spettatori non riescono a frenare la curiosità. E si capisce, molti di loro hanno appena 3 anni e a teatro non ci sono mai stati!

Finalmente tutti dentro, la platea si riempie e alcune classi salgono ad occupare il primo ordine; tante testoline si affacciano dai palchetti infilandosi sotto le transenne, e rimangono lì, immobili, ad ammirare dall’alto la penombra di quello strano luogo.
“BU!!!”, il Lupo non si fa attendere e balza all’improvviso in platea: Andrea Coppone, unico attore-narratore dello spettacolo, esce allo scoperto prima ancora che le luci di sala si spengano, e correndo da una parte all’altra del teatro, si diverte a fare qualche dispetto ai bambini. Due di questi non sembrano averla presa bene e con gli occhi lucidi gridano che vorrebbero tornare a casa dai genitori, lontano dal quel posto così grande, semi-buio, pieno di spifferi d’aria e poco famigliare, abitato per di più da un lupaccio smorfioso.
“Ciao! Piacere, io mi chiamo Andrea, e voi?” dice l’attore inginocchiandosi davanti ai due bimbi e tendendo la mano. “Ti…ti…ti chiami come mio babbo!” balbetta uno di loro asciugandosi le lacrime e gonfiandosi improvvisamente di orgoglio.
“Maestra, allora è vero che non è cattivo!” esclama subito l’altro.
È bastato un piccolo gesto di rispetto e comprensione, accompagnato da un sincero sorriso, per convincerli a raggiungere i compagni già seduti nelle poltrone. I bimbi sono così, per ascoltarli talvolta è necessario accorciare le distanze e pareggiare le altezze, tracciare una linea diretta che unisca gli sguardi e fare spazio  all’intesa. Mario Ramos, autore e illustratore del testo che Teatro Gioco Vita ha deciso di mettere in scena, scomparso prematuramente sette anni fa, questo lo sapeva bene. Claude Ponti, amico e collega di Ramos, afferma che una delle più grandi paure dello scrittore belga (di madre portoghese), era proprio quella di non sentirsi all’altezza del suo pubblico; ogni sua storia è nata dallo sforzo costante di innalzarsi sino ai bambini per colpire il loro cuore.

Ora che tutti sono seduti e anche la classe ritardataria si è sistemata in platea, le luci di sala si abbassano fino a spegnersi: un boato di voci riempie il teatro. Lo spettacolo può iniziare!

Ecco, brevemente, la storia:

Nel folto del bosco un grande e cattivo Lupo incontra la piccola Cappuccetto Rosso e subito elabora (dopotutto lui è il più furbo) un diabolico piano per mangiarsela e, senza esitazioni, corre alla casa della nonna… Sembra l’inizio della fiaba che tutti conosciamo, almeno finché il Lupo (che si crede davvero il più furbo) non infila la camicia da notte della nonna, con tanto di cuffietta d’ordinanza, ed esce da casa… rimanendo chiuso fuori! Così conciato e in attesa di elaborare un nuovo, geniale piano, al Lupo (che ancora si crede il più furbo) non rimane che nascondersi nel bosco. Ma il bosco, ahimè, è un luogo molto frequentato, soprattutto dai personaggi delle fiabe, e il nostro Lupo fa imbarazzanti incontri (i Tre Porcellini, i Sette Nani, il Principe Azzurro, etc.) che mettono fortemente in crisi la sua vanità. Povero Lupo! Tutti, invece di avere paura di lui, lo scambiano per un’innocua vecchietta. Per fortuna Cappuccetto Rosso è una bambina molto gentile e viene in suo aiuto. Eh sì, e lui che pensava di essere il più furbo!

La storia, adattata per il teatro da Enrica Carini e Fabrizio Montecchi, è un’intelligente rivisitazione della fiaba che tutti, almeno una volta nella vita, abbiamo ascoltato o raccontato. L’attenzione si sposta sulla figura del Lupo, ora non soltanto spaventoso e cattivo, ma anche goffo e, soprattutto, solo. Lo vediamo gironzolare tronfio nel bosco, in cerca di qualcuno che possa ammirare la sua bellezza, la sua furbizia, la sua forza. Sono queste le tre qualità che declama con gran presunzione ogni volta che incontra un personaggio. Dietro l’angolo però si nasconde sempre un imprevisto pronto a metterle in discussione: una caduta dal letto, l’incapacità di vestirsi, l’incontro rischioso con il cacciatore, la porta di casa che si chiude alle sue spalle, lasciandolo con addosso un imbarazzante abito da notte rosa.
La forza del testo di Ramos sta proprio nel distruggere quei tratti di demarcazione, tipici delle fiabe, che dipingono un personaggio come del tutto “cattivo” o del tutto “buono”, sforzandosi di consegnare al lettore una morale. Il Lupo suscita simpatia perché vengono messi in luce, con ironia e leggerezza, i suoi limiti. Nel libretto di sala si legge: “Ridere di lui, in cui tutti ci possiamo riconoscere, è ridere di noi, e questo ci fa sentire più umani.”

Andrea Coppone si muove con destrezza sul palco, giocando con varie tecniche d’attore.  C’è la narrazione, la Commedia dell’Arte, la danza, e soprattutto il teatro d’ombra. La compagnia piacentina, nata nel 1971, ha compiuto proprio l’anno scorso i quarant’anni di attività nel campo del teatro d’ombra, collezionando numerosi riconoscimenti e collaborazioni con importanti teatri stabili e enti lirici (tra i quali spicca La Fenice di Venezia, Royal Opera House di Londra, Ert, La Scala di Milano).
Le sagome realizzate da Nicoletta Garioni e Federica Ferrari, sulle illustrazioni di Ramos, non finiscono di stupire; non appena i fari le illuminano, è come se le ombre proiettate sui pannelli bianchi prendessero vita. Studiate attentamente nei particolari, queste figure di cartone sono dotate di alcuni snodi che consentono pochi ed essenziali movimenti, ad esempio lo spostamento di un braccio o un cenno del capo.
Ombra dopo ombra, ciò che rende magico lo spettacolo è il lavoro di artigianato che sta dietro alla messa in scena, visibile in ogni momento agli spettatori. Nessuno schermo tecnologico, nessuna proiezione. Più fari colpiscono in successione il modellino di un boschetto, da diverse angolazioni: così, l’ombra riprodotta nel pannello muta continuamente forma, dando l’impressione di un movimento nello spazio.
Ogni tanto l’attore si stende sul palcoscenico, come per annullarsi e dare voce ai personaggi che abilmente giostra con entrambe le mani.
I bambini che assistono alle mosse del lupo restano spiazzati: abituati alla sua proverbiale ferocia, si trovano invece di fronte a un essere più sfaccettato e sfuggente. Così, impacciato e vanitoso, un po’ tronfio, tracotante, il lupo di Ramos ne guadagna in umanità, imprimendo nel cuore dei bambini quel misto di complicità e presa di distanza che sole, a teatro, riescono a fare di un personaggio e della sua storia qualcosa di memorabile.

 

Don Chisciotte e il Pony Express

LIBRO VS TABLET
La battaglia di Don Chisciotte in nome dell’immaginazione
di Ilaria Mucci e Monica Bazzocchi

Sabato mattina 4 maggio alle ore 10.00 il Teatro Alessandro Bonci di Cesena ha fatto da sfondo allo spettacolo “Don Chisciotte e il Pony Express” di Franco Mescolini, della compagnia teatrale “La Bottega del Teatro di Franco Mescolini”, regia di Barbara Abbondanza, aiuto-regia Francesca Crociati.
È la prima volta che mi capita di vedere uno spettacolo seduta dalla parte di quelle che solitamente sono le quinte, e devo dire che è stato veramente bellissimo… mi sentivo completamente immersa all’interno di un’atmosfera calda, intima, famigliare e meno dispersiva rispetto a quella un po’ più fredda e distaccata che mi trasmettono i teatri storici e importanti come questo. Assistere a uno spettacolo e nel frattempo poter vedere sullo sfondo tutti i palchetti semi-illuminati del Teatro Bonci è stato veramente magnifico e mi ha fatto sentire più parte di ciò che accadeva sulla scena, rispetto a quando sono comodamente seduta in platea.

Appena arrivate sul palco, io e Monica, guidate dalle maschere, abbiamo deciso di prendere posto un po’ in fondo, ma sempre al centro, per goderci appieno lo spettacolo e, al tempo stesso, non disturbare le numerose classi di ragazzi delle medie che riempivano le prime file. Il pubblico è soprattutto composto da classi di seconda-terza media ma a fine spettacolo la regista e i diversi attori ci hanno svelato che venerdì 3 maggio sera il pubblico era composto anche da molti adulti.

Lo spettacolo nasce dalla prosa ma è stato anche utilizzato nel teatro ragazzi dato che tratta tematiche adatte sia ai “grandi” che ai “piccini”. Come ci spiega nell’intervista la regista Barbara Abbondanza, infatti, uno dei principi fondamentali del grande attore-regista cesenate Franco Mescolini era proprio quello di trasmettere qualcosa di educativo attraverso il teatro, che aiutasse a riflettere i “più grandi” e che fosse importante anche per la crescita “dei più piccoli”.
Osservando la scenografia, sulla sinistra del palco vedo il mulino a vento con ai piedi un cavallo a dondolo in legno, oggetti tipicamente associati a Don Chisciotte, protagonista del romanzo spagnolo epico-cavalleresco di Miguel de Cervantes Saavedra.
Sullo sfondo, al centro del palco, c’è un separé sopra cui è raffigurato un paesaggio spoglio, quasi desertico sulle tonalità del marrone con qualche albero verde qua e là. Davanti, una panchina in legno circondata da libri. Alla destra del palco c’è una scrivania con una sedia e due valigie semiaperte, piene di libri accompagnate da un faretto-luce e una valigetta in metallo utilizzate nel mondo dello spettacolo e del cinema.
Una curiosità che ci ha raccontato la regista riguarda la trama che è molto simile a quella del film uscito a settembre 2018 “L’uomo che uccise Don Chisciotte” di Terry Gilliam. Nonostante Terry Gilliam e Franco Mescolini non si fossero mai incontrati, proprio negli stessi anni (2000) hanno iniziato a scrivere e mettere in scena qualcosa di simile, ispirati dal Don Chisciotte di Cervantes. Il regista Gilliam ci ha messo tanti anni per arrivare alla fine del progetto, mentre Mescolini l’ha messo subito in scena, ed oggi i suoi ex-allievi l’hanno voluto riproporre, apportando alcune modifiche, ma sempre rispettando il testo originale del loro maestro.
Ci troviamo su un set cinematografico dove si sta girando il film “Don Chisciotte della Mancia”. La pala di un mulino a vento ha, però, colpito accidentalmente al capo il regista Leandro Borsetti tramortendolo e, dopo il suo risveglio, egli si crede Don Chisciotte. Tutto lo staff composto da aiuto regista, segretaria, produttore, giovani attori, si trova costretto ad assecondarlo in un gioco di equivoci catapultati, a loro malgrado, nel diciassettesimo secolo. L’arrivo imprevisto sul set di un giovanissimo Pony Express, Rudy Perrucchia de la Panighina di Bertinoro, che deve consegnare un plico al regista, rompe le regole del gioco. Il regista/Don Chisciotte rimane colpito dal casco da motociclista che indossa il giovane Pony Express, scambiandolo per l’elmo di una splendida armatura e così decide subito di nominarlo cavaliere, con grande sorpresa di Rudy che comunque sta al gioco. Il giovane Rudy mostrerà al regista/Don Chisciotte il suo tablet invitandolo così a prendere atto di un efficacissimo strumento di conoscenza.
L’opera teatrale, come spiega la regista Barbara Abbondanza a fine spettacolo, vuole focalizzare l’attenzione su un tema ancora attuale e di grande interesse: il libro e il tablet (che sostituisce il personal computer citato nel testo originale di Franco Mescolini), entrambi strumenti di conoscenza, ma molto diversi l’uno dall’altro. Da una parte l’ampia e vasta portata di informazioni offerte da un tablet in modo acritico nei confronti delle quali è necessario sviluppare una facoltà di analisi non compiutamente espressa nelle attitudini dei giovani ai quali questo spettacolo si rivolge; dall’altra il libro che comunque rimane sempre il miglior nutrimento dell’immaginario.

A fine spettacolo io e Monica abbiamo colto l’occasione di intervistare il giovane pubblico. I ragazzi erano entusiasti dello spettacolo, in particolare hanno apprezzato le parti più immaginative, visive ed interattive come i costumi e la fisicità dei personaggi ma hanno colto anche il messaggio tramesso.
Personalmente ho apprezzato la scelta della compagnia teatrale di portare in scena uno spettacolo che tratta temi importanti e umani da un punto di vista più bambinesco e giocoso tramite il personaggio, sempre fantasioso e surreale, di Don Chisciotte.
Che dire… la parte più emozionante, a mio parere, è stata quando a fine spettacolo io e Monica, intervistando la regista e gli attori, ci siamo “perse” nei loro racconti, sedute sulle sedie in cui poco prima ci eravamo godute lo spettacolo; mentre intorno a noi, i tecnici e gli altri componenti della compagnia mettevano a posto la scenografia e i costumi realizzati dalla nipote di Mescolini, ovvero Francesca Mescolini, insieme a Davide Zanotti.
Io e Monica abbiamo intervistato anche l’attore Riccardo Averaimo che nonostante non abbia mai conosciuto di persona Mescolini, studiando il testo e facendo una attenta ricerca sull’impostazione corporea e vocale tipica della cavalleria, è riuscito a rendere perfettamente il personaggio fantasioso e surreale di Don Chisciotte.
Durante le interviste, in particolare quella del suo affezionatissimo allievo Lorenzo Branchetti, mi è sembrato quasi di poter conoscere di persona Franco Mescolini, che nonostante non sia più presente fisicamente su questo palco, continua a rivivere nei racconti e a far emozionare e trasmettere messaggi importanti sul palco.
Non mi resta che ringraziare questa compagnia che ogni anno riporta in scena diversi spettacoli scritti da Franco Mescolini… portando avanti la sua “missione teatrale”: il teatro non solo come forma d’arte, di svago e bellezza ma anche come modo per “educare” e far riflettere sul mondo che ci circonda.
Le tematiche del testo di Mescolini infatti rimangono molto attuali, nonostante sia stato scritto e portato in scena per la prima volta nel 2001.
Dai racconti emerge Franco, un grande maestro non solo del teatro ma anche di vita, una persona molto attenta agli altri con lo scopo di rendere il teatro accessibile a tutti.. perché in fondo ognuno di noi è un po’ attore… spesso nella vita ci è richiesto di “rivestire un certo ruolo”, di “recitare una certa parte”… ma non ci dobbiamo mai dimenticare della nostra fantasia e creatività, del nostro essere bambini: la meraviglia, l’ingenuità nel fare domande, cercare risposte, essere curiosi… riuscire ad immaginare anche cose che magari non abbiamo esattamente di fronte agli occhi, ma che ci fanno sorridere e stare bene.
Franco, una persona che aveva ancora tanto da dire, da raccontare, da scrivere e da portare in scena, nei quartieri di Roma, durante i laboratori estivi a Cesena… purtroppo non ho avuto il piacere di conoscerlo di persona, ma per fortuna, come ci svela la regista, molti dei suoi testi e musiche sono conservate qui a Cesena in Biblioteca Malatestiana.
Se qualcuno fosse curioso di saperne di più basta sedersi, sfogliare qualche pagina e immaginare.